Musei San Domenico, Forlì – Fino al 18 giugno 2017. Va in mostra a Forlì il bagliore accecante ed effimero della “supernova” Déco, che illuminò i sogni di modernità borghese negli anni ’20: una decennale combustione di ottimismo collassata nelle macerie della Seconda Guerra Mondiale.

Il “falò delle vanità”
L’Exposition des Arts Décoratifs et Industriels fu la vetrina di una Modernità caleidoscopica: prima che la funzionalità richiamasse le forme all’ordine, il dirompente decorativismo Déco scosse l’artigianato artistico nel decennio 1919-’29. L’esposizione parigina consacrò questa “supernova” Stile 1925: così le secolari competenze della manifattura italiana ruppero le catene di “arti minori” per vedersi riconosciuto il primato internazionale d’industria del gusto.
La mostra di Forlì seduce l’osservatore in un profluvio di cristalli e ceramiche, gioielli e stoffe preziose; perimetra il dilagare di quest’eleganza eclettica, che investì tutte le dimensioni del vivere élitario, dagli arredamenti alla moda, dalle architetture alla cartellonistica, fino ai transatlantici. Ma il luogo comune di società superficiale non regge più: questo scintillante mondo di piume e charleston, che non si nega alcun piacere di fronte all’incertezza del domani, sottende una conscia decadenza. All’orizzonte si spalanca l’oscuro baratro dei totalitarismi, in cui sarebbero nuovamente precipitati i sogni di futuro dell’Europa: e scivola la maschera ridente di Astolfo de Maria, lasciando intravedere il teschio sottostante.
Un «lusso necessario»
Atmosfere oniriche di respiro simbolista e mitico, magiche contaminazioni egizie, suggestioni giapponesi e maschere africane si piegano a una tensione descrittiva della realtà misteriosa e ambigua, con profonde radici nelle Avanguardie. I geometrismi déco spezzano la sinuosità floreale Art Nouveau: danzano i Diavoli sul fiammante arazzo di Depero, ruggisce l’Isotta Fraschini di D’Annunzio, tigre in una foresta artificiale di “lussi necessari”. Se appena un decennio prima l’ornamento era delitto, ora il superfluo è il nuovo dio da adorare. Parigi consegna il Gran Prix alle ceramiche Ginori di Gio Ponti: un mondo incantato di ermafroditi e donne sospese su nuvole dorate reinterpreta il neoclassicismo con ironica leggerezza e suggestioni dechirichiane.
Gio Ponti, Casa degli Efebi, 1925, maiolica. Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia. Gio Ponti, Ciotola Emerenziana, 1927, maiolica. Cerro di Laveno, collezione privata. Gio Ponti, Mano della fattucchiera, 1930-1935, porcellana. Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia. Gio Ponti, Archi e corde, 1924, urna in porcellana. Sesto Fiorentino, Museo Richard-Ginori della Manifattura di Doccia. Gio Ponti, Vaso Fabrizia, 1925, maiolica. Cerro di Laveno, collezione privata. Gio Ponti, Gigi Supino, Busto femminile, 1923, terraglia policromata. Milano, Castello Sforzesco, Civiche Raccolte d’Arte Applicata.

La fenice déco
Il Déco è evasione dalla banalità quotidiana: nel fregio assiro-bizantino di Zecchin è un viaggio immaginario da Mille e una notte, mentre al tempio della Scala rifulge la principessa “di ghiaccio” Turandot. La donna déco risorge dalle ceneri della Guerra, fenice ormai consapevole del proprio fascino. Si grida allo scandalo, mentre le costrizioni sociali si slacciano come corsetti troppo stretti: le donne guidano, fumano in pubblico, superbe alle feste dell’alta società nei loro abiti ricamati. La figlia del celebre direttore d’orchestra, Wally Toscanini, nelle vesti di una felina regina di Saba, diventa immortale sulla tela di Martini. I richiami al teatro di Djagilev e al cinema muto preludono alla fredda emancipazione di Tamara de Lempicka: perché la cometa dorata dello Stile 1925 attraverserà l’oceano per aprire la sua funambolica stagione americana. Così, come la corona di Wally, i raggi della guglia del Chrysler Building risplendono su Manhattan e le vanità di Hollywood danzano al ritmo di un jazz sfrenato.
Serena Tacchini
Tamara de Lempicka, La sciarpa blu, 1930, olio su tavola. Collezione privata. Tamara de Lempicka, Madame Ira Perrot, 1932, olio su tavola. Collezione privata. Felice Casorati, Raja, 1924-1925, tempera su tavola. Collezione privata. Oscar Hermann Lamb, La coppa verde, 1933, olio su tela. Collezione privata. Sartoria Ventura (?), Abito da sera, 1925 circa, raso di seta nero ricamato con cannucce e jais in vetro. Firenze, Gallerie degli Uffizi – Museo della Moda e del Costume. Provenienza: donna Franca Florio. Luigi Bonazza, Notte d’estate, 1913-1928, tempera su carta. Rovereto, Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. Adolfo Wildt, La concezione, 1921, marmo e doratura. Milano, Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci. Vittorio Zecchin, Pannello del ciclo Le Mille e una notte, 1914, olio su tela. Venezia, Collezione Marino e Marina Barovier. Galileo Chini, Studio preparatorio per la decorazione dello scalone delle Terme Berzieri a Salsomaggiore, 1922, tempera su carta. Mugello, collezione privata. Libero Andreotti, Coppia di levrieri, 1914-1927, bronzo. Firenze, collezione privata. Arturo Martini, Leda con il cigno, 1926, gesso. Monza, Musei Civici. Autovettura Isotta Fraschini, 1931. Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani. Francesco Nonni, Anselmo Bucci, Corteo orientale, 1925-1927, maiolica. Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche. Alfredo Ravasco, Centrotavola con pesci, 1930-1935, agata, corallo, lapislazzuli, argento. FAI – Fondo Ambiente Italiano, Villa Necchi Campiglio, Milano. Guido Balsamo Stella per Manifattura SALIR, Venezia, Coppa Sirena e luna, 1925-1928, vetro inciso. Venezia, SALIR. Anselmo Bucci, Rosa Rodrigo (La bella), 1923, olio su tela. Courtesy Matteo Mapelli – Galleria Antologia, Monza. Duilio Cambellotti, Leoni e leonesse addormentati, 1922, carboncino, acquerello, guazzo, china e porporina su carta da spolvero. Terme di Sirmione SpA. Piero Portaluppi, Studio per il Grattacielo S.K.N.E., New York, 1920, matita, inchiostro di china, inchiostro colorato e acquerelli su carta. Milano, Fondazione Piero Portaluppi. Carlo Rizzarda, Fontana con uccellini, 1925, ferro battuto. Genova, Wolfsoniana – Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura. Meroni e Fossati, Specchiera, 1925 circa, legno di noce e specchi incisi con figure orientali. Galleria Pegaso.
Articolo pubblicato su Artribune [01.11.2016]: https://www.artribune.com/report/2016/11/mostra-federico-zandomeneghi-palazzo-zabarella-padova/
MOSTRA | ART DÉCO – Gli anni ruggenti in Italia |
QUANDO | Mostra conclusa il 18 giugno 2017 |
DOVE | Forlì, Musei San Domenico |
CURATORI | Valerio Terraroli, Claudia Casali, Stefania Cretella; direzione di Gianfranco Brunelli e comitato scientifico presieduto da Antonio Paolucci. |
CATAOGO | Silvana Editoriale |
UFFICIO STAMPA | Studio Esseci |